I tentacoli delle piantagioni di palma da olio… – La Bottega del Barbieri

2022-11-07 17:08:20 By : Mr. Yang Lao

il Blog di Daniele Barbieri & altr*

Tredici anni fa la direttiva  2009/28/CE (RED I) inseriva l’olio di palma fra le fonti di energia rinnovabile, aprendo alle sovvenzioni da parte dei singoli Stati per il suo uso nei trasporti e nella produzione di energia. Secondo un dossier di Legambiente, nel 2018   “647 000 tonnellate di olio di palma e derivati (PFAD) … sono [stati] dichiaratamente usati in Italia per produrre elettricità “verde” incentivata per legge, stando alle dichiarazioni degli stessi produttori al GSE …, per vedersi riconoscere i certificati e altre forme di sussidio”. Nello stesso anno, elaborando i dati del Gestore Servizi Energetici (GSE), Legambiente  stimava in 600 milioni di euro l’ammontare dei sussidi devoluti alla produzione di energia con bioliquidi dannosi (derivanti da olio di palma e soia), e scaricati sulle nostre bollette elettriche. Stimava inoltre, nel settore trasporti, un sovrapprezzo complessivo di 260 milioni di euro per i biocarburanti per autotrazione derivanti da olio di palma, onere scaricato alla pompa sul costo dei rifornimenti degli automobilisti. Incentivi “green” pagati in tutti questi anni con le nostre tasche per distruggere le foreste di Indonesia e Malaysia, i paesi da cui importiamo la stragrande maggioranza dell’olio di palma. L’articolo che segue, tratto da Biodiversidadla, descrive i disastri in Indonesia incentivati da queste politiche.

Dopo numerose compagne di denuncia, nel novembre scorso il D.Lgs. 199/21 prometteva di escludere dagli incentivi, a partire dal 2023, “la quota di biocarburanti e bioliquidi, nonché di combustibili da biomassa, prodotti a partire da olio di palma, fasci di frutti di olio di palma vuoti e acidi grassi derivanti dal trattamento dei frutti di palma da olio (PFAD)”. Salvo che gli stessi – però – non siano certificati come “biocarburanti, bioliquidi o combustibili da    biomassa a basso rischio   di   cambiamento   indiretto   della destinazione d’uso dei terreni”, cioè non derivanti da deforestazione. E il problema è proprio questo: sono credibili le certificazioni ? Ne abbiamo già parlato per le piantagioni di palma da olio in Guatemala e in Ecuador, e ciò che pubblichiamo oggi riguardo al Camerun non lascia ben sperare. Ecor.Network

Nell’ultimo decennio, a livello mondiale, nessun’altra coltura di base è cresciuta più velocemente della palma da olio. La produzione di olio vegetale è aumentata del 118% solo negli ultimi dieci anni, soprattutto per il forte incremento della produzione di olio di palma (1). In Indonesia, epicentro della produzione, la superficie delle piantagioni di palma da olio raddoppia ogni decennio e supera oggi i 15 milioni di ettari. Questa espansione quasi incontrollabile lascia una lunga scia di distruzione e conflitti, occupando enormi estensioni di terra coltivabile, foreste pluviali vergini, foreste di comunità indigene, distruggendo biodiversità e una risorsa essenziale limitata che sta diventando sempre più scarsa di fronte alla crisi climatica: l’acqua.

L’industria indonesiana dell’olio di palma è una eredità dell’epoca coloniale. Fin dal colonialismo l’Indonesia è stata la base estrattiva mondiale e parte della geografia della divisione capitalistica globale del lavoro (2). L’arcipelago è diventato fornitore delle principali materie prime del mercato mondiale, dai minerali ai prodotti delle piantagioni (forzate). Per quanto riguardo le concessioni, l’Indonesia ha seguito e sviluppato il modello capitalista, che si basa su contratti assegnati dai governi agli investitori, sia per progetti infrastrutturali che per le esigenze delle industrie estrattive. Questo modello è continuato nell’era post-coloniale per mantenere e favorire le industrie estrattive e l’espansione delle piantagioni di palma da olio.

Tuttavia, poiché i terreni per le piantagioni diventano sempre più scarsi, l’industria dell’olio di palma deve espandere la propria attività in altre regioni. L’industria continua a espandere le sue gigantesche aree di piantagioni per annettere e controllare sempre più terre comunitarie, dal Sud-Est asiatico all’Africa occidentale e centrale.

Quando le imprese si appropriano dei territori delle comunità, sottraggono anche le loro fonti d’acqua. Le persone che vivono all’interno e nelle vicinanze delle piantagioni devono lottare per accedere alla quantità e alla qualità di acqua necessaria a soddisfare i bisogni quotidiani: bere, cucinare, lavarsi, coltivare alimenti. Inoltre, stanno perdendo importanti fonti di cibo: i pesci dei fiumi e dei laghi, anch’essi contaminati dai prodotti agrochimici utilizzati nelle piantagioni.

In questo contesto, le comunità e le organizzazioni della società civile di Indonesia, Gabon e Camerun si sono riunite in occasione della Giornata mondiale dell’acqua (22 marzo) per condividere le loro esperienze riguardo le piantagioni industriali di palma da olio e per rivendicare il loro diritto all’acqua.

Perdita di accesso all’acqua: il caso di Riau e Kalimantan Occidentale, Indonesia

In Indonesia numerose comunità indigene dipendono dai fiumi. I fiumi sono la loro linfa vitale. Sono una fonte di sostentamento, la loro risorsa di acqua pulita e un luogo importante dove svolgere i loro rituali o cerimonie tradizionali. Ora però le comunità e le popolazioni indigene si trovano ad affrontare la perdita dei fiumi e degli affluenti che sono la loro fonte di vita.

L’espansione delle piantagioni di palma da olio influisce sulla sostenibilità dei fiumi in diverse forme. Le piantagioni danneggiano l’alveo dei fiumi e dei loro affluenti modificandone il corso, spostandoli e interrandoli con l’obiettivo di accelerare i flussi d’acqua a vantaggio delle imprese. Sono attività che aumentano la sedimentazione, riducono la qualità dell’acqua e accelerano le inondazioni.

Naturalmente questi impatti si ripercuotono sulle comunità. La sedimentazione distrugge specifici habitat ittici di alto valore, come per il Tapah (pesce gatto d’acqua dolce), e riduce altre popolazioni e specie di pesci. Il numero di aree di pesca si sta riducendo e questo ha costretto i pescatori a spostarsi su lunghe distanze aumentando, tra le altre cose, le spese per il carburante. Nella provincia di Riau, che ha la più grande concessione di piantagione di palma da olio dell’Indonesia, gli ultimi pescatori di Pantai Cermin hanno detto che ora pescano solo meno di 1 chilo di pesce ogni due o tre giorni. Molti abitanti del villaggio non riescono più a vivere con le entrate della pesca che ormai considerano un lavoro secondario o semplicemente un hobby.

Un’altra esperienza condivisa dalla comunità del Kalimantan occidentale è che, in passato, potevano prevedere cose come, ad esempio, cicli di inondazioni una volta all’anno o grandi inondazioni ogni cinque-dieci anni. Ora le alluvioni lampo non possono più essere previste e anche l’intensità e la frequenza delle alluvioni sono aumentate. Le famiglie di pescatori, come quelle dei distretti di Semanga o Sambas, nel Kalimantan occidentale, erano solite trarre vantaggio dalle stagioni di piena perché potevano catturare più pesce, fino a 20 chili di gamberi giganti d’acqua dolce al giorno. Oggi, però, anche se i loro villaggi sono circondati da piantagioni di palma da olio le inondazioni non sono più un beneficio per loro, perché la popolazione ittica è diminuita notevolmente a causa della perdita di habitat e della diminuzione della qualità di acqua dovuta alla sedimentazione e all’inquinamento delle piantagioni. L’aumento delle inondazioni ha colpito anche la maggior parte delle famiglie che lavorano artigianalmente la gomma e che hanno perso il loro reddito. Anche i campi di riso alimentati dalle piogge lungo la sponda del fiume sono inondati con più frequenza, causando la perdita dei raccolti.

Le ricerche realizzate dalle organizzazioni della società civile indonesiana Coalizione Popolare per il Diritto all’Acqua (KRuHA) e Litoral confermano questo impatto. Due villaggi della provincia di Riau, a monte della conca idrografica di Siak, situati intorno alla piantagione della PT Egasuti Nasakti, una delle filiali della Wilmar, hanno scoperto nel 2022 che l’azienda pianta palme da olio nella zona tampone ripariale o accanto ai corpi idrici. Questa pratica aumenta il deflusso inquinante di fertilizzanti e pesticidi nel fiume, riducendo la qualità dell’acqua. Con l’inquinamento del fiume la popolazione fa sempre più affidamento sulle acque sotterranee per soddisfare il proprio fabbisogno di acqua pulita. Ma la qualità delle acque sotterranee è inaccettabile come acqua potabile a causa dell’alta concentrazione di fosfati causata dai fertilizzanti. Inoltre, oltre l’87% dei campioni di acque sotterranee supera i livelli accettabili di cromo esavalente (Cr(VI)). I metalli pesanti come il piombo, il cromo e il mercurio, generalmente presenti nei fertilizzanti e nei pesticidi, sono notoriamente tossici per la salute umana e inquinano l’ambiente.

“In passato vivevamo di pesca, la maggior parte della nostra gente faceva il pescatore. Ma pochi anni dopo l’arrivo della palma da olio il nostro fiume è stato inquinato. Non possiamo più pescare. Bevevamo l’acqua del fiume, ma ora è difficile persino fare il bagno perché è inquinata dalle piantagioni. Una volta all’anno grandi quantità di rifiuti provenienti dalle piantagioni e dalle fabbriche di lavorazione vengono scaricati nei fiumi. In passato c’erano molti affluenti che confluivano nel fiume Tapung, ora molti si sono prosciugati, sono stati interrati o hanno subito modifiche del loro corso (cosa che comporta il dragaggio e il livellamento delle sponde per consentire all’azienda di piantare più palme). Ora ricordiamo solo il nome dell’affluente, ma il suo corso è scomparso. Ora otteniamo l’acqua necessaria dai pozzi, ma dobbiamo scavare a diverse decine di metri di profondità. L’acqua che attingevamo era profonda cinque o sei metri, ora dobbiamo trivellare ad almeno venticinque metri di profondità per ottenere l’acqua“, ha dichiarato Datuk Bathin Sigale, uno degli anziani indigeni del villaggio di Pantai Cermin, a Riau.

La distruzione si ripete: storie dal Gabon e dal Camerun

Negli ultimi anni, le imprese che per decenni hanno seminato distruzione nei Paesi del Sud-Est asiatico, come Indonesia e Malesia, hanno ampliato attivamente le loro piantagioni in Africa occidentale e centrale, da dove proviene originariamente la palma da olio. Una di queste è l’OLAM, un’impresa agroalimentare con sede a Singapore. OLAM Palm Gabon ha un accordo con il governo del Gabon, dove ha piantato più di 60.000 ettari di palma da olio.

Ladislas Desire Ndembet del gruppo ambientalista Muyissi Environnement, con sede in Gabon, che si è occupato dell’impatto delle piantagioni di palma da olio nel paese, ha affermato che la situazione è simile a quella delle comunità indonesiane. In Gabon imprese come l’OLAM si sono appropriate di terreni e hanno inquinato le acque del fiume Iroungou nel lotto 3 di Moutassou. L’obiettivo dell’OLAM di costruire in Gabon la più grande piantagione di palma da olio dell’Africa ha un prezzo elevato per le comunità.

L’OLAM sta installando un sistema di irrigazione a goccia nelle sue piantagioni prelevando una grande quantità d’acqua dai fiumi che ha un impatto sulle fonti idriche di coloro che vivono nelle vicinanze delle piantagioni. Un problema aggiuntivo in un contesto in cui le difficoltà di accesso all’acqua potabile sono già molteplici in tutto il Paese. La gente deve scavare pozzi molto profondi per procurarsi l’acqua. Nell’area del villaggio di Sanga, Muyissi ha scoperto che l’acqua era già contaminata dal glifosato, vietato in diversi paesi a causa della sua elevata tossicità. Tuttavia viene ancora utilizzato in molte piantagioni di palma da olio, comprese quelle dell’OLAM in Gabon, per il controllo delle erbe infestanti con gravi ripercussioni sulla salute degli uomini e delle donne che vivono nei pressi della piantagione.

Nel frattempo Emmanuel Elong, presidente di SYNAPARCAM, un’organizzazione camerunese per i diritti delle comunità, ha raccontato come le comunità che vivono intorno alle piantagioni Socfin/Bollore siano costrette a consumare quotidianamente acqua contaminata da pesticidi e altre sostanze chimiche. “Molte persone si stanno ammalando per questo motivo“, ha affermato Elong. Eppure il governo non sta facendo nulla a riguardo. Attraverso una vasta rete di holding e società operative, la Socfin controlla più di 400.000 ettari di concessioni terriere in dieci Paesi, più di 73.000 ettari in Camerun. Metà di quest’area è attualmente coperta da piantagioni industriali.

La maggior parte delle comunità del Camerun non ha accesso all’acqua potabile. Quando le comunità colpite dalla Socfin hanno cercato di scavare dei pozzi, l’acqua è rimasta difficile da reperire. La comunità ha dovuto aspettare una settimana per ricevere assistenza idrica, ma sono problemi che vanno avanti da anni. Le comunità stanno ora protestando anche contro la certificazione RSPO concessa alle filiali della Socfin in Camerun: la Socapalm nei distretti di Mbongo, Mbambou e la Safacam nel distretto di Dizangue. Le persone ricevono acqua portata dalle autobotti dalla Socapalm a frequenze indefinite. L’azienda non rispetta diversi criteri sociali e ambientali stabiliti dallo stesso certificatore, nonostante le sia stato assegnato il marchio che l’aiuta ad accedere a più mercati e a fare greenwashing delle sue attività.

Sia le comunità che gli attivisti indonesiani, gabonesi e camerunesi hanno riconosciuto la necessità di costruire una solidarietà più forte e attiva tra le comunità contro le piantagioni industriali, di imparare gli uni dagli altri e di scambiare esperienze e conoscenze a livello di base per combattere contro le piantagioni di palma da olio in continua espansione.

Di fronte agli stessi problemi e all’occupazione dei territori da parte di multinazionali come Wilmar, OLAM, Socfin e altre, che mettono a rischio i loro mezzi di sostentamento e le loro comunità, capiscono che l’unica cosa che conta per queste aziende è soddisfare il loro inesauribile scopo di lucro con l’olio di palma.

La condivisione delle esperienze delle comunità mostra anche l’importanza di collegare la lotta per la terra e l’acqua al movimento contro l’espansione della palma da olio. Il problema risiede nel modello di monocoltura industriale delle piantagioni che devasta il suolo, la diversità, i mezzi di sussistenza locali e le fonti d’acqua.

Con l’accaparramento della terra c’è anche l’accaparramento dell’acqua. Quest’ultimo si riferisce non solo all’accaparramento diretto dell’acqua, ma anche all’accaparramento dei diritti fondamentali delle comunità e dei lavoratori delle piantagioni ad accedere all’acqua potabile. L’inquinamento provocato dalle alte dosi di fertilizzanti chimici e prodotti agrochimici utilizzati nelle piantagioni industriali sta avvelenando numerose fonti d’acqua e quindi tutta la vita in questi territori.

* Tratto da Biodiversidadla: Qui la versione in spagnolo. Traduzione di Marina Zenobio per Ecor.Network.

(1) FAO, ‘Statistical yearbook 2021: production, trade and prices of commodities’.

(2) Batubara, Bosman dan Noer Fauzi Rachman. 2022. “Extended Agrarian Question in Concessionary Capitalism: The Jakarta’s Kaum Miskin Kota.” Agrarian South: Journal of Political Economy 1–24. Centre for Agrarian Research and Education for South (CARES).

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