Il Miracolo sul ghiaccio del 1980: Mike Eruzione e la nazionale USA di hockey

2022-11-07 17:09:18 By : Mr. RUOYU MAO

Mike Eruzione durante una partita contro i Philadelphia Flyers nel 1995

Mike Eruzione durante una partita contro i Philadelphia Flyers nel 1995

Una delle qualità più esaltanti dello sport è quella di regalare, in determinate situazioni, delle sfide memorabili tra contendenti dove uno è nettamente favorito sull’altro. Su chi puntereste il vostro ideale fiorino se vi chiedessero di scegliere il vincente? Qualcuno analiticamente andrebbe diretto su Golia senza minimo dubbio. Altri per spirito di sfida sceglierebbero Davide. Tanti altri ancora chiederebbero informazioni sul Davide e sul Golia di turno per poter scegliere. Nella storia che stiamo per raccontarvi, le prime informazioni sono queste: siamo a Lake Placid, New York, USA. È il 22 Febbraio 1980. La disciplina sportiva è l’hockey su ghiaccio.

Golia in questo caso è la nazionale di hockey su ghiaccio dell’URSS. Dall’iscrizione alla Federazione Internazionale, avvenuta del 1951, questa nazionale ha tenuto un percorso piuttosto impressionante: 5 ori, un bronzo e un giro a secco di medaglie (se escludiamo il flop delle prime Olimpiadi, quelle del ’52, che non videro medaglie assegnate ai sovietici). Con la vittoria nella seconda guerra mondiale insieme agli alleati e la successiva creazione della Cortina di ferro,  l’URSS aveva scelto lo sport come strumento di dimostrazione della sua superiorità sull’Occidente. In Russia non si giocava a hockey su ghiaccio, bensì a Bandy (una sorta di hockey su ghiaccio giocato su un campo da calcio in 10vs10). Perciò l’allenatore Anatoly Tarasov creò un nuovo modo sovietico di giocare a hockey basato sul concetto di collettivo, a differenza di quello canadese/americano basato sulle capacità individuali. I risultati come abbiamo detto sono “discreti”: oro nel ’56 a Cortina, bronzo nel ’60 a Squaw Valley, USA e 4 ori consecutivi nel ’64, ’68, ’72 e ’76. I sovietici vincono tutto quel che si può vincere nel ventennio ’60-’80, e nel ’72 battono anche una rappresentanza All Star della NHL, il campionato professionistico nordamericano. L’unico paragone di dominio così perentorio è il Dream Team di basket americano.

Vladislav Tretiak (sin.) stringe la mano a Rogatien Vachon della nazionale canadese nel 1976

Nell’80 la nazionale sovietica si presenta ai nastri di partenza olimpici con un top 6 che può essere tranquillamente considerato uno dei migliori nella storia. In porta Vladislav Aleksandrovič Tret’jak: notato da Tarasov da giovanissimo, viene subito inserito nelle giovanili del CSKA Mosca (la squadra dell’armata Rossa) e poi compie tutta la trafila fino a esordire e conquistare in pianta stabile il ruolo di titolare nella squadra di club e in nazionale. È unanimemente considerato uno di quei portieri generazionali.

In difesa Vjačeslav Fetisov, anche lui pregiato frutto del sistema di sviluppo del CSKA, futuro capitano della nazionale e futuro primo giocatore a sbarcare in NHL dopo la dissoluzione della URSS. Uno dei primi giocatori a centrare la sacra Trinità dell’hockey (Oro Mondiale, Oro Olimpico e Stanley Cup, coppa per il vincitore della NHL). Insieme a Fetisov, in difesa gioca Aleksej Viktorovič Kasatonov, cresciuto nelle giovanili dello SKA Leningrado (attuale SKA San Pietroburgo): è il naturale partner difensivo di Fetisov, i due giocano insieme e vivono in simbiosi in nazionale dalla categoria under 16. Formano un muro difensivo che farebbe impressione anche al Muro di Berlino e hanno tutte le capacità per spingersi anche in attacco, segnando molti goal come coppia.

In attacco una linea tra le migliori della storia, anche in questo caso. Al centro Vladimir Vladimirovich Petrov, all’ala sinistra Valerij Kharlamov (uno degli attaccanti più forti di sempre, deceduto nel 1981 in un incidente stradale a soli 33 anni) e all’ala destra Boris Petrovič Michajlov. Il terzetto andava a comporre la prima linea offensiva per la nazionale dell’URSS ma anche del CSKA Mosca. Oltre a questi sei super giocatori i sovietici potevano schierare anche due su tre attaccanti che andranno a comporre la celeberrima (tra i tifosi  hockeistici) linea KLM, che sostituirà la linea Petrov-Kharlamov-Michajlov, Krutov e Makarov. Una vera e propria corazzata in attesa di ritirare la sua ennesima medaglia d’oro.

Da sinistra, Mike Eruzione, Jim Craig e Ken Morrow nel 1980 a Boston

Il Davide di questa storia è rappresentato dagli USA, una nazione con una grandissima cultura hockeistica che però non ha mai performato al suo effettivo livello benchè culla del professionismo con il miglior campionato mondiale, la NHL. Gli americani fino a ben dopo le Olimpiadi di Lake Placid hanno scelto di schierare una squadra dilettantistica formata da una selezione tra i giocatori del campionato universitario statunitense, molto lontano dal livello che avrebbero potuto esprimere schierando i professionisti della NHL. La gestione tecnica della squadra è affidata ad Herb Brooks, eclettico allenatore dell’Università del Minnesota che in 7 anni ha vinto 3 campionati NCAA (lega universitaria statunitense), che riconoscendo la superiorità tecnica dei sovietici decide di forgiare un gruppo magari meno di livello ma molto più coeso e disposto al sacrificio.

Herb Brooks nel 1981 nelle vesti di allenatore dei New York Rangers

Tra le file degli statunitensi abbiamo una formazione di 20 giocatori giovani con relativa esperienza, in cui coesistono un cuore di leadership tecnica, un cuore di leadership caratteriale e un gruppo di supporto disposto a tutto per il bene della squadra. Tra i leader tecnici possiamo annoverare i due portieri Steve Janaszak, da Minnesota, portiere titolare di Herb Brooks alla sua università, e Jimmy Craig, portiere di Boston University tutto coraggio e parate spettacolari. In teoria partono alla pari, ma tra la preparazione e il torneo olimpico Craig conquista il posto di titolare tra i pali ergendosi a entità tecnica e carismatica nello spogliatoio USA. In difesa Dave Christian, difensore offensivo che dopo le olimpiadi continuerà la sua carriera nella NHL concludendola con oltre 770 punti messi a referto, e Ken Morrow, che nel torneo olimpico metterà a referto 2 assist e un goal in 7 partite.

In attacco troviamo una prima linea composta da John Harrington al centro e sulle ali Buzz Schneider e Mark Pavelich, rispettivamente 5, 8 e 7 punti messi a referto a fine torneo. Da annoverare anche Mark Johnson, top scorer della squadra con 11 punti in 7 partite, che giocherà il penultimo anno della sua carriera a Milano sponda Saima mettendo insieme 108 punti in 48 partite.

Dal lato della leadership caratteriale ricordiamo il difensore Jack O’Callahan, che dimostra l’attaccamento alla maglia giocando sopra gli infortuni e dando l’esempio ai compagni di squadra, il portiere Jimmy Craig, vero e proprio totem spirituale della squadra, e su tutti il capitano Mike Eruzione, uomo spogliatoio e vero e proprio trascinatore emotivo nel bene e nel male (che tra l’altro compie gli anni oggi, 68 candeline per lui! Tanti auguri capitano!).

Il saluto tra la nazionale USA e la nazionale URSS

Veniamo finalmente alla partita in sé, lo scontro di Davide contro Golia. Prima del torneo olimpico le due squadre si erano già scontrate in un’amichevole di preparazione al Madison Square Garden di New York e la partita era terminata con un perentorio 10-3 a favore dei sovietici. In più mettiamoci anche il fatto che il presidente americano Jimmy Carter aveva già ventilato la possibilità di boicottare le Olimpiadi estive che si sarebbero svolte a Mosca nello stesso anno (cosa che poi succederà) per l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Ci sono tutti gli elementi per un’atmosfera incandescente al palazzetto del ghiaccio di Lake Placid.

La partita inizia ed è subito molto intensa, non ci si tira indietro né da una parte né dall’altra e le cariche tra i giocatori non si contano da quante sono. I sovietici riescono a passare in vantaggio con un goal di Krutov al minuto 9.12, lesto davanti porta a deviare un tiro dalla distanza di Kasatonov. Gli Stati Uniti però non si arrendono e 5 minuti più tardi pareggiano con Schneider. Tretiak è battibile stasera e si può cercare l’impresa. Al minuto 17.34 Makarov riporta in vantaggio l’Unione Sovietica dopo aver portato a spasso la difesa statunitense e la situazione nel pancone di Tichonov (allenatore sovietico tra il 1977 e il 1991) si tranquillizza. Ma a pochi secondi dalla fine del periodo Dave Christian tira il disco da centrocampo verso la porta di Tretiak, che ben sapendo che il periodo di gioco sta volgendo al termine si limita a parare lasciando che il disco rimbalzi davanti porta. Qui Mark Johnson sceglie il momento perfetto per intervenire e dire la sua. Recupera il disco sul dritto, aggira Tretiak e deposita il disco in fondo alla rete. 2-2. Houston, abbiamo una partita!

Un’azione durante il gioco (nella foto, i sovietici Bilyaletdinov, Makarov e Myshkin e gli americani Harrington e Ramsey)

Il secondo periodo comincia con un colpo di scena: Tichonov, insoddisfatto del rendimento di Tretiak, sostituisce uno dei migliori portieri della storia e schiera tra i pali il portiere di riserva Myshkin. Qui inizia un vero e proprio assedio a Jimmy Craig. 12-2 sono le conclusioni in porta a favore dei campioni in carica, ma il portierone americano concede solamente una rete realizzata dopo 2.17 min da Alexander  Maltsev che scappa in contropiede e fredda il portiere di Boston University.

Nel terzo periodo l’antifona non cambia, i russi che bombardano Jimmy Craig e gli americani che con la forza della disperazione cercano di raddrizzare una partita più in salita dello Stelvio per un ciclista. Al minuto 6.47 a Krutov viene data una penalità di 5 minuti: la squadra è obbligata a giocare con l’uomo in meno. Mark Johnson decide di mettere definitivamente il suo autografo sulla serata e batte Myshkin con un preciso tiro rasoghiaccio, che passa sotto le gambe del portiere di back up. Qui subentra il vero leader USA. I sovietici sono ancora con l’uomo in meno e gli americani hanno bisogno di una vittoria per giocarsi le ultime chances di oro contro la Finlandia due giorni dopo. In un’azione rocambolesca con soli 3 russi a difesa della gabbia e del portiere, il disco arriva sulla stecca di Mike Eruzione che spara dalla linea blu. Il difensore Vasiliev cerca di parare il tiro ma riesce solo a deviarlo mettendo fuori causa il tutt’altro che incolpevole Myshkin. È 4-3 per gli Stati Uniti, Davide ha una vera possibilista di abbattere Golia. Mancano 10 minuti di gioco alla fine, 10 minuti di sofferenza a stelle e strisce.

I tifosi della nazionale USA durante il match contro la nazionale URSS

Il pubblico sugli spalti capisce il momento e comincia a intonare il più classico degli ” U-S-A! U-S-A! U-S-A!” con una veemenza fuori da ogni logica. I sovietici in panchina hanno gli sguardi di chi ha visto il mondo funzionare alla rovescia, ma sul ghiaccio non si abbandonano e mettono nuovamente la porta di Jimmy Craig sotto assedio. Il portiere risponde a ogni assalto, gli sfugge solo un tiro di Maltsev, ancora lui, che però si stampa sul palo. Manca sempre meno alla fine: 5 minuti, e poi 3 e tra i tifosi si prefigura una domanda “Quando Tichonov toglierà il portiere per mettere un giocatore di movimento in più?”. Non succederà. Tichonov è sotto shock e non utilizzerà mai quell’ultima arma a sua disposizione. Al Michaels, commentatore della ABC, che ai tempi trasmetteva le Olimpiadi, grida al suo microfono: “11 secondi, eccoci, mancano 10 secondi, il conto alla rovescia inizia ora, Morrow ha il disco, lo passa a Silk, 5 secondi alla fine del match, credete nei miracoli…?? Sì…!!”. News, approfondimenti, tendenze, tecnologie, materiali e protagonisti: tutto quello che c’è da sapere sul mondo dell’orologeria. Iscriviti subito alla newsletter

Davide contro ogni logica abbatte il gigante Golia. Gli Stati Uniti battono l’Unione Sovietica per 4 a 3. Due giorni dopo gli statunitensi regolano la Finlandia 4-2 e si aggiudicano l’oro, per i sovietici un argento che sa di beffa. Una storia raccontata da due bellissime produzioni, una per schieramento: il film “Miracle” del 2004, con protagonista Kurt Russell, che racconta il punto di vista statunitense, e il docufilm ESPN “Of miracles and men”, che spiega l’evento attraverso gli occhi dell’URSS. Ma voi alla fine, il fiorino su chi l’avevate puntato? Do you believe in miracles?

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